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Alzheimer: nuovi elementi per comprendere la neurodegenerazione

La malattia di Alzheimer è caratterizzata da un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive: nelle prime fasi la patologia si manifesta con una graduale perdita della memoria dovuta all’accumulo nel tessuto cerebrale della proteina beta-amiloide, che altera il funzionamento delle sinapsi fino a sfociare in un declino cognitivo dovuto alla degenerazione di ampie zone di corteccia cerebrale.

Come avviene tale processo di neurodegenerazione è quanto ha provato a indagare uno studio, pubblicato sulla rivista “Brain”, svolto dai ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche, frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca di Pisa coordinato da Nicola Origlia e quello di Milano coordinato da Claudia Verderio.

“La ricerca si è concentrata sullo studio della corteccia entorinale, un’area cerebrale che sembra essere particolarmente vulnerabile all’accumulo della proteina beta-amiloide: è qui, infatti, che ha inizio il processo infiammatorio nel quale sono coinvolte le cellule microgliali, cioè particolari cellule immunitarie del cervello”, spiega Nicola Origlia, ricercatore del Cnr-In. “Con il progredire della malattia, la neurodegenerazione si diffonde grazie alle cellule microgliali presenti nella corteccia entorinale ad altre aree cerebrali, con conseguente perdita delle funzioni da esse sostenute”.

In tale processo, un ruolo particolare è svolto dalle vescicole extracellulari contenenti la proteina beta-amiloide prodotte dalle cellule microgliali: muovendosi lungo le connessioni neuronali, tali vescicole propagano le alterazioni attraverso un circuito fondamentale per la memoria, ovvero quello che collega la corteccia entorinale all’ippocampo.

“Utilizzando tecniche di imaging, è stato possibile osservare l’interazione tra le vescicole contenenti proteina beta-amiloide e la superficie del neurone, dimostrando il loro movimento lungo il processo assonale, cioè il processo che trasferisce l’impulso nervoso a un’altra cellula”, aggiunge Claudia Verderio, ricercatrice del Cnr-In. “Inoltre, abbiamo dimostrato che riducendo la motilità delle vescicole a seguito di trattamento farmacologico si previene la propagazione dei deficit sinaptici tra la corteccia entorinale e l’ippocampo: questo apre nuove prospettive di intervento terapeutico volte a rallentare, se non a fermare, la progressione della malattia”.

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