Alzheimer: la ricerca frena ma non si ferma
Una comunicazione in grado di far tremare ricercatori, scienziati, medici e, soprattutto, le famiglie dei malati di Alzheimer. E’ quella che ha dato qualche tempo fa il Wall Street Journal, annunciando che la Pfizer, una tra le case farmaceutiche ad aver investito maggiormente nel trovare una cura per l’Alzheimer, avrebbe deciso di abbandonare la ricerca su quei farmaci che potrebbero rivelarsi utili per combattere la malattia.
La decisione appare per molti versi difficilmente comprensibile, se si pensa che l’Alzheimer è considerata una delle emergenze del futuro. Nel mondo ne sono colpite 47 milioni di persone e la cifra è destinata a salire vertiginosamente: si prevede un numero di 131 milioni di malati entro il 2050.
Alla base della presa di decisione ci sarebbero gli alti costi dell’investimento che si sono rivelati, nel corso degli anni, del tutto inutili. Al momento, contro l’Alzheimer sono disponibili solo trattamenti che affrontano la sintomatologia o rallentano il decorso, ma una vera cura non esiste.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, che si manifesta con deterioramento di quella che è la struttura cerebrale e le sue cause sono solo ipotetiche e non del tutto conosciute. Possiamo rifarci alle attuali conoscenze nel campo della ricerca, le quali ci dicono che nella malattia vi è una perdita progressiva di cellule cerebrali, associata al formarsi di placche anomale attorno ad esse: si tratta di accumuli di una proteina, chiamata «beta-amiloide». Inoltre, all’interno delle cellule cerebrali si formano dei «grovigli», costituiti da una forma anomala della proteina Tau che, nelle cellule sane, ha delle importanti funzioni.
L’impegno dei ricercatori che cercano di arrivare alla causa della malattia è lodevole, tuttavia le informazioni sono frammentarie e l’incertezza nella cura pare farsi sempre più spazio tra le paure delle famiglie.
Finora, le molecole sviluppate per combattere l’Alzheimer non hanno dato i risultati sperati: gli effetti da un paziente all’altro sono stati diversi e, soprattutto, l’autonomia del paziente – che significa anche autonomia del familiare caregiver della persona malata – non ne ha beneficiato.
Ci sono però anche considerazioni positive da fare. Se da una parte è vero che la Pfizer dice stop alla ricerca, vero è che il mondo delle neuroscienze diviene sempre più florido. Pensiamo, ad esempio, ad uno dei più grandi progetti a livello europeo, lo Human Brain Project. Si tratta di un progetto informatico neuroscientifico che mira a realizzare, entro il 2023, una vera e propria simulazione del funzionamento completo del cervello umano. Una parte applicativa del progetto ha come scopo la raccolta di grandi quantità di dati clinici da diversi centri ospedalieri, per centralizzarli su una piattaforma di libero accesso a tutti i centri a livello internazionale.
In Italia tra le realtà facenti parte dello Human Brain Project ricordiamo l’Università di Pavia e l’ ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, dove è attiva l’implementazione e l’analisi di dati clinici e di neuroimaging. La parte applicativa del progetto analizzerà dati prevalentemente sulle malattie degenerative, come appunto l’Alzheimer.
Grazie a questi studi, si potrà fare maggiore chiarezza su tutti quei meccanismi, ad oggi sconosciuti, di causa della patologia e saranno un ottimo incentivo alla ricerca in campo farmacologico.
Nel panorama delle multinazionali americane spicca, invece, la Biogen che sta mettendo a punto una molecola che addestra il sistema immunitario a riconoscere un elemento degenerativo che danneggia il cervello nella malattia di Alzheimer: ricerca ancora agli stadi iniziali ma, senza dubbio, molto interessante.
Insomma, niente panico: la scelta delle singole case farmaceutiche di aver interrotto o rallentato gli studi sulle malattie neurodegenerative non deve farci pensare che non ci saranno più ricerche nel settore. Proviamo a mettere da parte i pensieri disfunzionali suscitati da queste notizie negative e confidiamo nel mondo delle neuroscienze.