All’ospedale di Vicenza l’innovativa terapia cellulare Car-T per curare la leucemia e il linfoma
Da oggi c’è una speranza in più per i pazienti affetti da due forme di linfoma e leucemia particolarmente aggressive. Il reparto di Ematologia dell’Ospedale S. Bortolo di Vicenza è infatti il primo centro in tutto il Nord Est ad avere completato il complesso iter di certificazione e autorizzazione per l’utilizzo dei farmaci Car-T per la cura dei linfomi non-Hodgkin (LNH) a grandi cellule B e della leucemia linfoblastica acuta. Il primo paziente, un uomo di 68 anni, affetto da LNH refrattario a 4 linee di terapia, è oggi in dimissione, a 15 giorni alla infusione del Car-T. I primi esami effettuati sono molto incoraggianti, il paziente ha ripreso ad alimentarsi, ha cessato del tutto ogni terapia antidolorifica, fra 10 giorni, secondo protocollo, effettuerà la PET di valutazione, ci racconta la dott.ssa Maria Chiara Tisi, “team-manager” del progetto Car-T in Ematologia,
I farmaci Car-T costituiscono terapia estremamente innovativa, basata sull’utilizzo – alternativo, in funzione della tipologia di paziente – di due farmaci, autorizzati dall’Aifa prodotti in laboratorio modificando geneticamente i linfociti prelevati dal paziente, al quale vengono poi reinfusi. Come noto, i linfociti sono un particolare sottogruppo di globuli bianchi, deputati al controllo immunologico: in pratica sono le cellule che costituiscono il nostro sistema immunitario. L’immissione al loro interno di specifiche sequenze di DNA fa sì che siano in grado di riconoscere le cellule tumorali – per la particolare struttura di queste ultime – e quindi di aggredirle, distruggendole. Una volta reimmesse nell’organismo, inoltre, le cellule così ingegnerizzate sono in grado di replicarsi, ed essendo state realizzate a partire dai linfociti dello specifico paziente trattato non vi è pericolo di rigetto.
Anche il pericolo di una recidiva viene superato, in un buon numero di casi: esattamente come avviene per i virus, infatti, una volta sconfitta la malattia i linfociti Car-T rimangono nel sistema immunitario del paziente, pronti ad attivarsi qualora la malattia ricompaia.
Il percorso inizia con il prelievo dei linfociti presso il settore “aferesi” del Centro Trasfusionale. Questi vengono poi crioconservati nell’azoto liquido, in speciali contenitori, ad una temperatura di -170 C°. Entro 2-3 giorni vengono quindi inviati in specifiche “cell factory, negli Stati Uniti o in Europa, dove si trovano i laboratori delle due aziende farmaceutiche che detengono i brevetti per la produzione di questa innovativa terapia. Qui vengono “ingegnerizzati”, inserendo il “Car” sulla superficie delle cellule, e quindi rimandati subito al San Bortolo, e conservati in sala criogenica del Centro Trasfusionale. Il paziente viene ricoverato presso la Ematologia e si procede all loro infusione, sotto stretto controllo dell’equipe trapiantologica ematologica, degli intensivisti e dei neurologi. Il paziente rimane in osservazione per almeno 15 giorni. Tutto il procedimento, dall’aferesi alle dimissioni, dura circa 2-3 mesi.
Un procedimento complesso, che però proprio il San Bortolo ha la tecnologia per semplificare in prospettiva futura: «Come noto siamo – commenta il Direttore Generale Giovanni Pavesi – siamo l’unica azienda socio-sanitaria d’Italia ad avere una cell factory autorizzata dall’Aifa per la produzione di farmaci. Ne esistono solo altre due in tutta Italia, e sono strutture private. Volendo porci un obiettivo ancora più ambizioso, a lungo termine, possiamo puntare a produrre direttamente a Vicenza i farmaci Car-T, naturalmente su licenza. In questo modo eviteremmo di dover spedire i linfociti dei pazienti negli Stati Uniti, accorciando la filiera e i tempi del trattamento, e sicuramente potremmo anche ridurre i costi, oltre che produrre potenzialmente questi farmaci anche per altri centri italiani».
Sulla portata di questa innovazione si sofferma anche al dott.ssa Giovanna Scroccaro, responsabile della Direzione Farmaci e Dispositivi della Regione Veneto: «Le terapie Car-T sono farmaci a cui l’Agenzia Italiana del Farmaco ha attribuito il giudizio di farmaci innovativi, che è ad oggi il riconoscimento più importante che può essere assegnato ad un farmaco, e dà diritto ad accedere al fondo di 500 milioni di euro che lo Stato mette ogni anno a disposizione, al di fuori dei finanziamenti ordinari erogati alle Regioni. La complessità che la gestione di questo farmaco richiede sul piano clinico, strutturale ed organizzativo ne ha però limitato l’uso solo ai Centri in possesso di determinati requisiti previsti da AIFA, quali l’accreditamento Jacie, certificazione del Centro Nazionale Trapianti e la presenza di un team multidisciplinare adeguato alla gestione clinica del paziente e delle sue complicanze. In particolare, l’accreditamento Jacie, viene rilasciato da un organismo internazionale, la Joint Accreditation Commitee ISCT-EBMT, solo dopo attente verifiche ispettive del possesso di requisiti strutturali e della presenza di procedure collaudate e addestramento di tutto il personale coinvolto. Non solo, anche le ditte produttrici richiedono, per poter vendere il farmaco, che le procedure operative connesse alla gestione del farmaco siano ben collaudate. All’Ospedale di Vicenza e in particolare al reparto di Ematologia va riconosciuta la lungimiranza di aver ottenuto l’accreditamento Jacie ben prima della commercializzazione del farmaco: questo ha accelerato l’iter per ottenere l’autorizzazione Regionale e il nulla osta da parte delle aziende farmaceutiche, attraverso un processo articolato di qualifica del centro. Ho avuto personalmente modo di riscontrare la determinazione, la professionalità e la passione da parte di Marco Ruggeri, di tutto il personale e del Direttore Generale».
Come spesso accade per le terapie più innovative, anche in questo caso il Sistema Sanitario Nazionale – seguendo le linee guida internazionali – prevede l’utilizzo della terapia Car-T per i pazienti più gravi, nel caso specifico quelli che hanno già effettuato almeno due cicli completi di terapie convenzionali senza successo o comunque con successive ricadute. Nel caso della leucemia linfoblastica acuta, inoltre, il trattamento è limitato ai pazienti pediatrici o comunque fino ai 25 anni di età.
Inoltre, i pazienti devono poter disporre di un quantitativo di linfociti sufficiente per una buona aferesi, una caratteristica questa non sempre presente in casi sottoposti a multiple linee di trattamento.
In questi casi così complessi, l’aspettativa media di vita è tra i 6 mesi e 1 anno di vita. La terapia con Car-T consente, nel 50% dei soggetti sottoposti a questo trattamento, di mantenere un quadro di remissione anche a 5 anni dalla infusione, con consistenti speranze di effettiva guarigione.
Le indicazioni terapeutiche piuttosto restrittive sono collegate anche ai rischi connessi al trattamento, in quanto in letteratura sono stati registrati casi di reazioni avverse anche molto gravi, potenzialmente mortali. Per questo motivo, il protocollo di somministrazione dei farmaci Car-T prevede che durante l’infusione e nei giorni immediatamente successivi sia riservato per il paziente un posto letto in Terapia Intensiva e Rianimazione, in caso di necessità.
E questo è solo uno dei tanti elementi di complessità sul piano organizzativo: «Il primo paziente trattato nei giorni scorsi – spiega il dott. Salvatore Barra, direttore sanitario dell’ULSS 8 Berica – è il risultato di un intenso lavoro multidisciplinare durato oltre un anno, durante il quale abbiamo scritto oltre un centinaio di nuove procedure. Al fine di ottenere le necessarie certificazioni e autorizzazioni, infatti, è stato necessario definire nei dettagli una grande varietà di procedure, sul piano medico ma anche legale e amministrativo: dai criteri di selezione dei pazienti alle modalità di prelievo dei linfociti, conservazione e spedizione all’estero, fino alle modalità di infusione. Il tutto con un grande coordinamento: l’aferesi infatti viene eseguita sul paziente solo una volta ricevuto dalle aziende farmaceutiche uno “slot” per la loro ingegnerizzazione, al fine di abbreviare il più possibile i tempi del trattamento, anche perché non dobbiamo dimenticare che si tratta di pazienti molti fragili. Per quanto riguarda gli aspetti strettamente sanitari, oltre agli specialisti dell’Ematologia sono coinvolti anche la Farmacia ospedaliera, il Centro Trasfusionale, il Laboratorio di Crioconservazione e – per la gestione delle possibili complicazioni – la Terapia Intensiva e la Neurologia, le Malattie Infettive e la Cardiologia».
«La parte procedurale è stata molto impegnativa – conferma il dott. Marco Ruggeri, Direttore della UOC Ematologia -, ma anche un’occasione per aumentare i livelli qualitativi sul piano organizzativo e lavorare con tanti colleghi appassionati nel mettere in piedi una struttura nuova per il bene del paziente».
Per i malati e le loro famiglie il trattamento non comporta alcuna spesa, in quanto è coperto dal sistema sanitario regionale, con un costo per ogni paziente di circa 320mila euro per il solo il farmaco, ai quali si aggiungono naturalmente i costi per la degenza e il successivo follow up, che è particolarmente impegnativo: il protocollo prevede infatti 3 controlli settimanali per i successivi 15 anni.
Complessivamente, sulla base della casistica registrata, si prevede che all’Ematologia del S. Bortolo saranno circa 50 ogni anno i pazienti con i requisiti per essere curati con questa terapia innovativa, almeno la metà dei quali residenti al di fuori della provincia di Vicenza e provenienti da tutto il Triveneto.
«I primi dati sull’efficacia di questa terapia sono stati pubblicati solo nel 2014 – continua il dott. Ruggeri – ma da allora a livello internazionale c’è già una casistica significativa che ci consente di dire che i farmaci Car-T rappresentano sicuramente una svolta, come lo fu il trapianto di midollo. E già sono in corso negli Stati Uniti degli studi per valutare l’opportunità di ampliare il bacino di pazienti che ne possono beneficiare a chi è in uno stadio meno avanzato della malattia. Altri studi stanno invece cercando di applicare la stessa metodica, dunque l’ingegnerizzazione genetica dei linfociti, per la cura di altri tipi di tumori: in questo caso la difficoltà è data dall’individuare, come per queste due patologie, dei marcatori specifici in grado di identificare le cellule tumorali, per distinguerle da quelle sane e far sì che i linfociti non attacchino anche queste ultime».