Al Sant’Orsola il primo trapianto in Italia con protesi endoteliale in materiale polimerico
Da zero a sei decimi con un intervento di mezz’ora: una paziente di 76 anni torna a vedere dopo 5 anni di cecità. È il risultato del primo trapianto in Italia, il centesimo al mondo, realizzato con una protesi endoteliale in materiale polimerico. Lo ha eseguito il prof. Luigi Fontana, Docente di Malattie dell’Apparato Visivo dell’Università di Bologna e direttore dell’Oftalmologia dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola. Oggi è stato replicato già cinque volte.
“Parliamo di una protesi in materiale polimerico che funziona come endotelio di una cornea artificiale – spiega il prof. Luigi Fontana -. L’endotelio corneale è una membrana che svolge un compito fondamentale per il mantenimento della trasparenza della cornea e quindi per vedere correttamente: per questo nei pazienti affetti da deficit del suo funzionamento, il trapianto da donatore fino ad oggi era l’unico intervento in grado di ristabilire la funzione visiva. Con un intervento che sfrutta una protesi in materiale polimerico, simile alla plastica, il valore aggiunto principale sta nella minore percentuale di rigetto e nella poca invasività dell’intervento, quasi ambulatoriale”.
Il trapianto di cornea, infatti, è ancora l’intervento più diffuso per numero di pazienti: in Italia ne vengono eseguiti più di 5.000 ogni anno. Le tecniche si sono evolute nel tempo: da quella classica dove veniva impiantata una cornea intera da donatore, alla tecnica lamellare, la più recente e raffinata, che prevede solo la sostituzione degli strati malati di cornea preservando il tessuto non colpito dalla malattia. È un intervento molto meno invasivo rispetto a quello tradizionale che consente un recupero della vista più rapido e minori complicazioni come il rigetto, nonché l’ottimizzazione dell’impiego delle cornee donate. Tuttavia, esistono ancora condizioni in cui il trapianto di endotelio da donatore ha breve durata o impossibilità di essere eseguito: parliamo di pazienti già sottoposti a trapianti di endotelio falliti per causa di rigetto o per la presenza di altre patologie oculari.
I risultati de primo intervento eseguito all’IRCCS Policlinico Sant’Orsola e di quelli successivi, dunque, confermano le potenzialità dell’utilizzo di una materiale artificiale per trattare alcune forme di opacizzazione della cornea. Più specificatamente, si tratta di un sottile strato di un materiale sintetico di 50 micron di spessore e 6,5 mm di diametro: come una piccola lente a contatto morbida e pieghevole che una volta introdotta nell’occhio viene fatta aderire alla parete interna della cornea. Non si è ancora al punto da pensare che l’endotelio artificiale possa sostituire del tutto il trapianto di tessuto da donatore: quest’ultimo è infatti ancora in grado di garantire un eccellente risultato visivo con bassi rischi di complicanze e soddisfazione nei pazienti che recuperano la vista pienamente. Ma gli studi in corso dimostrano la sicurezza e l’efficacia di questo tipo di impianti in pazienti con particolari e complesse patologie corneali.
“Questo intervento si inserisce in un più ampio impegno dell’IRCCS sul fronte della ricerca. Come oftalmologia stiamo lavorando soprattutto sul fronte dei nuovi materiali e delle nuove tecniche di trapianto. – continua Fontana –. Negli ultimi 10 mesi, abbiamo eseguito circa 200 trapianti di cornea in casi clinici complessi di pazienti pediatrici e adulti. Il trattamento dei pazienti si estrinseca attraverso una rete di collaborazioni con altri istituti del Policlinico quali la microbiologia, la farmacia, la reumatologia e la dermatologia.
“L’oftalmologia universitaria del Policlinico di Bologna ha ormai acquisito grandi capacità innovative e di leadership assistenziale – afferma il Rettore Giovanni Molari – anche mediante una grande capacità di fare sistema di competenze trasversali presenti in Università e in Azienda. Questo risultato rafforza il ruolo centrale del Sant’Orsola nell’assistenza e nella ricerca sui trapianti. L’Ateneo auspica che la Regione continui a riconoscere l’importanza di sostenere i centri di riferimento in grado di fornire prestazioni di altissima complessità a vantaggio di tutto il servizio sanitario”.