"E’ una apparecchiatura affascinante – ci dice il direttore della U.O. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Fabrizio Magnolfi – perché consente di fare un viaggio nell’intestino di un paziente e vedere, in tempo reale, le immagini di tutto il percorso. E’ una procedura diagnostica di facile applicazione, scarsamente invasiva, che permette al paziente di mantenere le sue normali attività durante l’esecuzione dell’esame. Dal punto di vista pratico, si tratta di un dispositivo ingeribile, a forma di capsula, grande come un comune antibiotico (misura 11x 26 mm e pesa meno di 4 g). E’ monouso e contiene una microcamera dotata di sorgente luminosa, batterie, antenna e trasmettitore radio. E’ in grado di trasmettere circa 50.000 immagini, per un periodo di tempo di circa 8 ore, ad un dispositivo di registrazione dati inserito nella cintura indossata dal paziente. Questa attrezzatura viene poi rimossa al termine dell’esame, mentre i dati vengono scaricati in un computer in grado di elaborare un filmato, sulla base del quale verrà poi stilato il referto dell’esame".
Addio a gastroscopie e colonscopie allora? "Assolutamente no – dice Magnolfi. La videocapsula, al momento e per più ragioni, non sostituisce gli esami tradizionali. Innanzitutto, è stata realizzata per lo studio dell’intestino tenue (o piccolo intestino), ossia quel tratto del canale alimentare (compreso tra duodeno e colon) difficilmente esplorabile con gli endoscopi tradizionali. Questa tecnologia, quindi, trova esplicita indicazione nel sospetto di malattie (emorragiche, infiammatorie, ecc.) di tale distretto intestinale. In secondo luogo, la Videocapsula ha un valore esclusivamente diagnostico, in quanto non consente l’esecuzione di prelievi bioptici. In ultima analisi i costi: a parte quelli relativi al software, ogni videocapsula costa attorno ai 500 euro ed essendo monouso, è evidente che se ne suggerisca un uso oculato. E’ anche per questi motivi, conclude Magnolfi, che l’esame viene eseguito esclusivamente su prescrizione di un medico specialista tenendo conto di precise indicazioni.
Il paziente, a digiuno da almeno 6 ore, deglutisce la capsula aiutato da un sorso d’acqua. In vita gli viene applicata una cintura che contiene il rilevatore di segnale e il registratore di immagini. Può, quindi, uscire dall’ambulatorio e tornare a casa o al lavoro senza pensare all’esame che sta facendo. Già dopo 3-4 ore può riprendere a mangiare. Passate otto ore dall’ingestione della capsula (è questo il tempo di durata delle batterie), viene prelevato il supporto elettronico, su cui sono state registrate le immagini, che sarà poi letto tramite un software in grado di concentrare in soli 60 minuti le 8 ore di registrazione. La capsula, invece, verrà espulsa senza disturbi per via naturale.
La capsula endoscopica – nota anche con il nome di wireless endoscopy o capsula enteroscopica – è stata ideata nel 1981 da un ingegnere israeliano, Gavriel Iddan. Dal 2001 è stata approvata dalla Food and drug Administration (FDA) e il suo impiego si sta ampiamente diffondendo. Dal 2003 ne è stato approvato l’uso anche nei bambini di età superiore ai 10 anni.