La reazione a una “grande abbuffata” ad alto contenuto di carboidrati non è la stessa per tutti. C’è chi riesce a smaltirla meglio di altri, e questo dipende in parte dal nostro profilo metabolico. Per capire se siamo tipi con un metabolismo più risparmiatore o dispendioso, che tendono cioè a bruciare più o meno carboidrati, c’è un’importante sentinella, l’ormone glp1. Un nuovo studio pubblicato su “Obesity” e condotto dall’Università di Pisa presso l’ente di ricerca NIH negli Stati Uniti ha indagato il ruolo di questo ormone, quantificando per la prima volta le variazioni di concentrazione nel sangue in risposta una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati.

La sperimentazione ha riguardato 69 soggetti che hanno ingerito circa 4.000 kilocalorie nell’arco di 24 ore e che sono stati quindi monitorati in una camera metabolica per misurare il dispendio energetico e la risposta termogenica alla dieta. Da una stima dai risultati è emerso che, a parità di carboidrati ingeriti, le calorie bruciate dall’ossidazione dei carboidrati possono variare fino a 500 kcal/giorno a seconda del metabolismo di ogni individuo.
“Abbiamo scoperto che gli individui che sono riusciti a ossidare più carboidrati quando sottoposti ad una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati erano anche quelli che sono riusciti ad aumentare maggiormente la concentrazione nel sangue dell’ormone glp1”, spiega Paolo Piaggi, docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e autore senior dello studio.

L’ormone glp1, rilasciato nella circolazione sanguigna proprio in base a quanto noi mangiamo, stimola infatti il pancreas a produrre insulina: di conseguenza le cellule, in particolare quelle dei muscoli, riescono ad ossidare, cioè bruciare, più carboidrati.
“Identificare l’ormone glp1 come biomarker del profilo metabolico – aggiunge Piaggi – ci avvicina sempre di più ad una medicina personalizzata e di precisione nell’ambito della ricerca sull’obesità, questo in prospettiva potrà semplificare la definizione dei profili metabolici, che potrà avvenire con un semplice esame del sangue, senza ricorrere come oggi, a procedure più complesse come quelle che vengono condotte all’interno di una camera metabolica”.

Paolo Piaggi, vincitore nel 2015 del programma “Rita Levi Montalcini”, un progetto del Miur per far rientrare in Italia i giovani ricercatori che lavorano all’estero, è attualmente professore associato di Bioingegneria del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Ateneo pisano. Molta della sua attuale attività di ricerca si svolge presso l’Azienda ospedaliera universitaria pisana (Aoup) dove dal 2019 è in funzione una camera metabolica, la prima in Toscana e la quarta tutta Italia, istituita grazie ad una cooperazione interdisciplinare tra il mondo medico e quello ingegneristico per comprendere la patofisiologia dell’obesità e sviluppare metodi diagnostici che permettano la caratterizzazione dei fenotipi metabolici per la prevenzione e terapia dell’obesità e dell’aumento di peso corporeo.
La camera metabolica è una delle tecnologie del FoReLab, il laboratorio del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione che aggrega la ricerca in tutti i settori ICT rivolta a una società 5.0, autonoma, resiliente e centrata sulla persona.
“La creazione di tecnologie e metodologie per una medicina personalizzata che tenga la persona al centro – dice Andrea Caiti, direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione – è uno dei focus del FoReLab. Nella ricerca orientata al futuro le tecnologie dell’informazione includono modelli di processi congitivi, fisiologici ed emotivi che integrano diversi parametri, rilevati tramite dispositivi indossabili o sensori minimamente invasivi, in modo da adattare i sistemi alle caratteristiche individuali delle persone”.