È stato identificato un nuovo importante gene responsabile della Sclerosi laterale amiotrofica. A quanti lamentano che si tratti dell’ennesimo gene responsabile della SLA, questa ricerca aggiunge elementi oltremodo importanti sui meccanismi che determinano le alterazioni e i deficit della malattia. Si tratta dunque di un ulteriore, fondamentale passo, testimoniato anche dall’importanza della rivista medica internazionale in cui appare lo studio, verso il chiarirsi dei meccanismi profondi, biologici, che scatenano la SLA e la fanno progredire nel tempo.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista “Neuron”, ha coinvolto quasi 300 ricercatori appartenenti a più di 100 Laboratori di ricerca in tutto il mondo, co-diretti dai Prof. John E. Landers dell’Università del Massachusetts e Bryan Traynor del National Institute of Health americani.
Un contributo essenziale al lavoro è stato fornito dai ricercatori Italiani: co-primo e co-senior author sono, infatti, il dott. Nicola Ticozzi ed il prof. Vincenzo Silani dell’Irccs Istituto Auxologico Italiano – Università degli Studi di Milano. Altro co-senior author italiano del lavoro è il prof. Adriano Chiò dell’Università di Torino. Due importanti Consorzi italiani di Centri dedicati alla ricerca di geni responsabili della SLA hanno fornito un contributo essenziale: SLAGEN, coordinato da V. Silani ed ITALSGEN, coordinato da A. Chiò.
«La SLA – spiega Silani – è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, determinando una paralisi progressiva di tutta la muscolatura. La malattia è letale in 3-5 anni e, a tutt’oggi, non esiste terapia efficace».
«L’attuale mancanza di farmaci in grado di curare la SLA è in gran parte una diretta conseguenza delle scarse conoscenze circa le cause e i meccanismi che determinano la malattia» – aggiunge Chiò. Negli ultimi anni gli studi sulla genetica della SLA hanno iniziato a delucidare questi meccanismi, consentendo la creazione di modelli animali di malattia su cui sperimentare nuovi farmaci.
«Nello studio pubblicato su “Neuron” – precisa Ticozzi – i ricercatori hanno messo a punto una metodica innovativa, che consente di confrontare migliaia di varianti genetiche tra pazienti ed individui sani e di identificare con certezza le mutazioni responsabili della malattia. Studiando il DNA di oltre 35.000 pazienti affetti da SLA e di più di 100.000 soggetti sani, i ricercatori hanno scoperto nuove mutazioni nel gene KIF5A, che codifica per l’isoforma 5A della kinesina».
«Le kinesine – aggiunge la dott.ssa Antonia Ratti, ricercatrice della Università degli Studi di Milano operante in Auxologico, co-autore del lavoro – sono proteine fondamentali per il funzionamento dei neuroni, poiché trasportano lungo l’assone molecole essenziali e organelli verso le sinapsi. Le mutazioni in KIF5A sembrano impedire un corretto legame tra la kinesina 5A e le proteine da essa trasportate, con conseguente degenerazione degli assoni e dei dendriti delle cellule motoneuronali».
«La scoperta delle mutazioni in KIF5A – precisa la dott.ssa Cinzia Gellera della Fondazione Irccs Istituto Neurologico C. Besta, co-autore del lavoro – suggerisce che alterazioni nel citoscheletro e nel trasporto assonale possano essere determinanti nel causare la SLA. Sarà quindi di estremo interesse studiare questo nuovo meccanismo patogenetico nell’obiettivo di sviluppare terapie neuroprotettive efficaci».
«L’ulteriore particolare interesse di questa scoperta – continua Vincenzo Silani – risulta nel fatto che mutazioni in due diverse regioni dello stesso gene possono essere responsabili di malattie diverse. La paraparesi spastica ereditaria e la Charcot-Marie-Tooth tipo 2 erano già associate, infatti, a KIF5A ma la scoperta è che anche la SLA può dipendere dallo stesso gene. Una mutazione in porzioni diverse dello stesso gene può dare origine, quindi, con meccanismi diversi ad un danno diversificato nella stessa cellula. Questa rappresenta, di per sé stessa, una rilevante acquisizione di portata biologica straordinaria per la comprensione di diverse malattie».
«Anche l’esordio clinico dei pazienti SLA con mutazione in KIF5A – precisa il Ticozzi – è anticipata a 46,5 anni rispetto agli usuali 65,2 con una sopravvivenza di quasi 10 anni che risulta, appunto, incrementata rispetto ai canonici 20 – 36 mesi».
«Il notevole risultato raggiunto anche per l’ azione combinata di un innumerevole numero di Centri e Laboratori dedicati nel mondo, sottolinea la necessità di una collaborazione divenuta ora planetaria per sconfiggere la SLA» – afferma Silani che insieme a Chiò ha posizionato l’Italia nel progetto MinE, un ambizioso studio volto al sequenziamento completo del DNA di un numero considerevole di pazienti italiani affetti da SLA per decifrare mutazioni patogenetiche della malattia nella sua espressione sporadica per impostare una terapia personalizzata.
Questa importante scoperta è stata resa possibile grazie al contributo di AriSLA – Fondazione italiana di ricerca per la SLA, Ministero della Salute, American ALS Association, MND Association, Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica, Fondazione Vialli e Mauro onlus, NIH, European Commission, Compagnia San Paolo e Progetto MinE.