Una patologia silenziosa, che nasce spesso all’interno di altre malattie del fegato, e la cui diagnosi spesso è tardiva. Eppure l’epatocarcinoma è uno dei tumori più aggressivi e una delle prime cause di morti oncologiche nel mondo. Dunque, per la sua complessità, la presa in carico del paziente va guidata da un team multidisciplinare, in strutture di eccellenza, come il Corm delle Marche, che lavorano in sinergia fin dal momento della diagnosi, così da individuare il miglior trattamento possibile e garantire l’accesso ai migliori percorsi di diagnosi e cura. Tutte tematiche al centro della tappa in Ancona di venerdì 19 aprile del Roadshow “Uniti e Vicini ai Pazienti con Epatocarcinoma” promosso, in concomitanza con la Giornata mondiale del fegato, da Roche con il patrocinio di Epac Ets, la più importante Associazione nazionale di pazienti con malattie di fegato. E in questa occasione, anche del Comune di Ancona e dell’associazione Marcangola che riunisce 40 associazioni di volontariato attive in ambito oncologico sul territorio marchigiano.

A confronto per il sesto di un ciclo di appuntamenti sul territorio nazionale, i vari esperti del team multidisciplinare dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche che ha così l’opportunità di illustrare la sua attività come punto di riferimento non solo per la regione, ma anche per tanti pazienti del Centro-Sud. L’anno scorso nella struttura ospedaliera sono stati valutati oltre 300 pazienti con lesioni del fegato, di cui il 30% provenienti da fuori regione. Ad aprire i lavori è l’assessore alle Politiche sociosanitarie del Comune di Ancona Manuela Caucci, per la quale “non ci può essere sanità senza sociale e sociale senza sanità, i due mondi si intrecciano e come amministrazione facciamo il possibile per collaborare”. A breve, annuncia, sarà pronto il protocollo per aprire il casale Angelini. Il presidente del Consiglio comunale Simone Pizzi rimarca invece che “l’Azienda ospedaliera universitaria mette le sue potenzialità e impegno a disposizione di tutti”. Entra nel vivo partendo dai dati nazionali Rossana Berardi, professoressa ordinaria di Oncologia e direttrice clinica oncologica Università Politecnica delle Marche: sono 12.200 le nuove diagnosi di epatocarcinoma all’anno e dietro questi numeri “ci sono persone e famiglie che hanno necessità di un percorso multidisciplinare che ad Ancona viene messo a disposizione di tutti i pazienti della regione, ma anche extraregione”. In particolare, prosegue, “nel contesto del Corm, Centro oncologico ricerca delle Marche, i Pdta, i percorsi diagnostici terapeutici assistenziali per i pazienti oncologici trovano il loro massimo vigore e la loro massima espressione, anche con l’uso della tecnologia e quindi dell’infrastruttura informatica che ci permette di meglio gestire le criticità dei pazienti e l’accesso alla struttura ospedaliera”. La patologia, prosegue, vive “un momento di grande fermento: alle tradizionali e importantissime cure, quali la chirurgia e le terapie locoregionali, si affiancano terapie innovative, faramaci biologici, anticorpi monoclonali immunoterapia, che rappresentano una frontiera importante per la cura dell’epatocarcinoma”. Le “parole chiave – conclude – sono tempestività e coordinamento”.

Dello stesso avviso Gianluca Svegliati Baroni, responsabile unità operativa Danno epatico e trapianti dell’Azienda ospedaliero universitaria delle Marche: “L’epatocarcinoma – osserva – è il principale tumore primitivo del fegato e insorge generalmente su un fegato cirrotico o con una fibrologia avanzata”. Per questo motivo sono nati i team multidisciplinari con la contemporanea prezenza di molti specialisti, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, spesso coordinati dal patologo che ha gestito il paziente negli anni fino alla comparsa del tumore. “Sulla sopravvivenza – continua – i numeri sono scoraggianti, quelle a cinque anni sono al 20%, ma quando la diagnosi è precoce e si riesce ad affrontare rapidamente la malattia, la guarigione è molto spesso alla portata”. Ma certo, “il paziente deve essere seguito in maniera multidisciplinare con l’obiettivo di un intervento chirurgico importante oppure del trapianto di fegato, magari preceduto da altri trattamentidetti locoregionali, per permettere al paziente di ricevere il trapianto”. Ad Ancona ci sono tutte le opzioni terapeutiche, “un grande vantaggio per i pazienti presi in carico”. A loro danno una mano anche le associazioni come Epac Ets: il presidente Ivan Gardini riporta una recente indagine condotta su 150 pazienti con tumore attuale o pregresso, mettendo in luce che “è preoccupante, che per una diagnosi completa i pazienti nel 63% dei casi visitano una o più strutture prima di arrivare a quella che li cura. In questo modo si perde tempo preziosissimo perche il tumore non aspetta”. Le aspettative di vita sono infatti “proporzionali a quanto una persona riesca ad arrivare nella struttura giusta che può prenderla in carico a 360 gradi e avere la diagnosi più corretta e le cure più appropriate”. Occorre dunque, termina, “creare dei percorsi veloci che dal medico di famiglia portino direttamente alla struttura più appropriata per la cura di quel tumore specifico”. Durante la tavola rotonda il direttore generale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Marco Armando Gozzini evidenzia che “senza team non si va da nessuna parte. Multidisciplinarità e multispecialistica sono fondamentali”. Mentre il primario di Radiologia Giulio Argalia chiarisce da un lato che le liste d’attesa sono un “problema nazionale”, dall’altro che “le metodiche vanno usate sulle persone giuste e nelle strutture giuste”. La collega di Radioterapia oncologica Giovanna Mantello illustra i miglioramenti introdotti dalla radioterapia stereotassica, “una bella arma terapeutica”, e il professore Antonio Benedetti il ruolo della formazione, anche post laurea, con le opportunità che offrirà l’intelligenza artificiale. Infine l’ordinario di Chirurgia generale Marco Vivarelli evidenzia che per l’epatocarcinoma su cirrosi il trapianto di fegato è “il trattamento più efficace ma non può essere offerto a tutti i pazienti a causa dell’insufficiente disponibilità di donatori”. Mentre la chirurgia mininvasiva ha “drasticamente” ridotto il rischio operatorio. E “noi patologi”, conclude Gaia Goteri, “aiutiamo gli specialisti a scegliere le terapie migliori. Una diagnosi di precisione è fondamentale per aiutare i colleghi”.