Leucemia linfatica cronica: disponibile in Italia acalabrutinib in compresse
Anemia, ingrossamento dei linfonodi, piastrinopenia, stanchezza, sudorazioni notturne, perdita di peso involontaria sono i principali sintomi della leucemia linfatica cronica, la più frequente fra le leucemie negli adulti nel mondo occidentale. Ogni anno, in Italia, si stimano circa 3.000 nuovi casi. È una neoplasia ematologica caratterizzata dall’accumulo anomalo di un particolare tipo di globuli bianchi, i linfociti B, nel sangue periferico, nel midollo osseo e negli organi linfatici. Uno dei maggiori ostacoli al trattamento di questi pazienti, che in genere ricevono la diagnosi dopo i 70 anni e spesso presentano una o più comorbidità, è individuare opzioni terapeutiche efficaci e tollerate per la gestione a lungo termine di questa neoplasia ematologica. Difficoltà che oggi possono essere superate grazie all’approvazione della rimborsabilità di acalabrutinib da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco nella nuova formulazione in compresse, per pazienti con leucemia linfatica cronica sia di nuova diagnosi sia precedentemente trattati. La dose raccomandata è di 100 mg due volte al giorno.
La terapia mirata acalabrutinib, in capsule, è già stata approvata da AIFA nel 2021. Nella nuova formulazione in compresse, acalabrutinib presenta un volume ridotto del 50%, rendendo così più facile la deglutizione. Inoltre, può essere somministrato con agenti che riducono l’acidità gastrica, come gli inibitori della pompa protonica, senza comprometterne l’assorbimento, e può essere assunto con o senza cibo. In questo modo, diventa più semplice la gestione e l’adesione alla terapia, a vantaggio dei pazienti trattati. Sono state dimostrate con uno studio clinico la pari efficacia e sicurezza delle due formulazioni e, grazie a questa approvazione, un maggior numero di pazienti potrà beneficiare di acalabrutinib.
“Nella leucemia linfatica cronica i linfociti B, che hanno acquisito specifiche alterazioni molecolari e generano una condizione di immunodeficienza che predispone alle infezioni, crescono in numero eccessivo nel sangue, nel midollo osseo e nei tessuti linfatici, che di conseguenza aumentano di volume determinando linfoadenopatie e splenomegalia – spiega Gianluca Gaidano, Professore Ordinario di Malattie del Sangue al Dipartimento di Medicina traslazionale dell’Università del Piemonte Orientale e Direttore della Struttura Complessa a Direzione Universitaria di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara -. Aumentando il numero dei linfociti, resta meno spazio a disposizione per i globuli bianchi sani, i globuli rossi e le piastrine, che diminuiscono. Il calo dei globuli rossi determina anemia, mentre, a causa del minor numero di piastrine, il sangue non coagula normalmente, con tendenza a emorragie ed ematomi. La malattia ha un andamento clinico molto eterogeneo: la maggioranza dei pazienti non presenta sintomi, arriva alla diagnosi in seguito a controlli eseguiti per altri motivi e rimane stabile per molto tempo senza necessità di terapia. Possono trascorrere diversi anni prima della comparsa di sintomi evidenti. I trattamenti sono necessari quando i globuli bianchi tendono a crescere molto rapidamente o quando i valori di globuli rossi e piastrine scendono sotto i livelli di allerta. Anche linfonodi o milza molto grandi richiedono un intervento terapeutico”.
“Altri aspetti da considerare, oltre alla sintomatologia, sono le conseguenze emotive, sociali e funzionali del convivere con una patologia cronica. Da qui il ruolo sempre più centrale della qualità di vita – afferma Rosalba Barbieri, Vice Presidente AIL -. Anche coloro che presentano sintomi e che, quindi, richiedono un trattamento oggi possono condurre una vita normale grazie alle terapie innovative, che devono essere effettuate nei centri specializzati di ematologia”.
“Il trattamento della leucemia linfatica cronica include diverse opzioni terapeutiche, dagli inibitori di BTK agli inibitori del BCL2, inoltre, ad oggi, non prevede più la chemioterapia, con vantaggi importanti per i pazienti – sottolinea Gianluca Gaidano -. Acalabrutinib appartiene alla classe degli inibitori di BTK, che ha rivoluzionato la cura della malattia. Il farmaco ha evidenziato un beneficio significativo in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine, tanto nel trattamento in prima linea quanto nella malattia recidivante o refrattaria”.
In base ai dati dello studio di fase III ELEVATE-TN, condotto su 535 pazienti non trattati in precedenza, a un follow-up di 6 anni, acalabrutinib, in combinazione con un anticorpo monoclonale (obinutuzumab) o in monoterapia, ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla chemio-immunoterapia, indipendentemente dalla presenza di caratteristiche genetiche sfavorevoli. “Nello studio ELEVATE-TN, i regimi contenenti acalabrutinib hanno migliorato la PFS rispetto alla chemio-immunoterapia – afferma il Prof. Gaidano -. Con il regime di chemio-immunoterapia si è registrata una mediana di PFS pari a 27,8 mesi, non raggiunta invece con acalabrutinib in monoterapia o in combinazione con obinutuzumab. A 6 anni di follow up, il 78% ed il 62% dei pazienti trattati rispettivamente con acalabrutinib più obinutuzumab o con acalabrutinib in monoterapia era vivo senza progressione di malattia, rispetto al 17% con la chemio-immunoterapia. Analogamente, con acalabrutinib, in combinazione o in monoterapia, sono stati registrati tassi di risposta clinica e tassi di risposta completa significativamente più elevati”. E nello studio di fase III ASCEND, condotto su 310 pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante o refrattaria, acalabrutinib ha ridotto il rischio di progressione della malattia o morte del 69% rispetto al braccio di controllo (rituximab combinato con idelalisib o bendamustina).
“Un bisogno e un diritto dei pazienti è l’accesso rapido e uniforme all’innovazione su tutto il territorio nazionale – evidenzia Rosalba Barbieri -. Inoltre, se vogliamo realmente parlare di terapia personalizzata, è necessaria una presa in carico della persona e non solo della malattia, un nuovo modello che tenga conto non solo della dimensione clinica, ma anche dei bisogni sociali e psicologici. L’impegno di AIL si concretizza nel sostegno al paziente e ai caregiver in tutto il percorso di cura, a partire dal momento della diagnosi, anche fornendo informazioni sulla patologia”.
“Lavoriamo ogni giorno per rendere disponibili trattamenti sempre più mirati, efficaci e con il miglior profilo di tollerabilità possibile – conclude Paola Morosini, Medical Affairs Head Oncology AstraZeneca -. La qualità di vita dei pazienti è una priorità per la ricerca di AstraZeneca. Acalabrutinib è una molecola di nuova generazione, che nasce da anni di ricerca, e ora è disponibile nella formulazione in compresse, che grazie alle innovazioni di cui abbiamo parlato consentirà a un maggior numero di pazienti di beneficiare di questa terapia. Il nostro ampio programma di sviluppo comprende oltre 25 studi clinici riguardanti monoterapie e terapie di combinazione su diverse forme di tumori ematologici. Il nostro obiettivo è contribuire a migliorare il percorso di cura di pazienti affetti da neoplasie ematologiche, divenendo punto di riferimento in quest’area terapeutica”.