Un passo in avanti nell’utilizzo di cellule staminali pluripotenti per la cura del diabete di tipo 1
I ricercatori del San Raffaele, coordinati dal professor Lorenzo Piemonti, direttore dell’Istituto di Ricerca sul Diabete del San Raffaele, hanno dimostrato come sia possibile rendere invisibili al sistema immunitario le cellule staminali pluripotenti indotte e le cellule insulino secernenti da esse derivate, attraverso tecniche di ingegneria genetica.
Un importante passo in avanti nel campo della medicina rigenerativa e dell’utilizzo delle iPSC per la cura del diabete di tipo 1, ostacolato fino ad oggi dalla risposta auto-immune tipica della patologia.
Lo studio, condotto in vitro e in vivo su modelli sperimentali della malattia, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Cell Reports” e condotto in collaborazione con l’Unità di Trasmissione e Evoluzione Virale del San Raffaele e con l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica.
Uno dei problemi ancora irrisolti nel campo della medicina rigenerativa è l’impossibilità di trapiantare organi, tessuti o cellule in assenza di una terapia immunosoppressiva.
Ogni cellula presenta sulla propria superficie una serie di proteine, denominate ‘complesso maggiore di istocompatibilità’, che rappresentano un autentico codice a barre, esclusivo per ogni individuo. Il sistema immunitario di ognuno di noi riconosce il proprio codice a barre, ma non quello degli altri, e quando incontra un codice a barre diverso dal proprio si attiva e rigetta le cellule non riconosciute. Se questo meccanismo è difficilmente evitabile nel campo del trapianto di organi, è potenzialmente eludibile se la sorgente di nuovi tessuti sono le cellule staminali pluripotenti.
In particolare, le iPSC, per loro natura, possono in linea di principio essere trasformate in tutte le cellule e tessuti del nostro corpo che, avendo il codice a barre del singolo individuo, sfuggono all’aggressione da parte del sistema immunitario.
Questo approccio ha però dei limiti: è eccessivamente costoso e molto laborioso, dovendo produrre linee di IPSC da ogni singolo individuo; non può essere applicato nelle patologie autoimmuni, come nel caso del diabete di tipo 1, poiché il sistema immunitario ha un difetto nel riconoscimento del proprio codice a barre e si attiva comunque.
Nel corso degli ultimi anni, sono state proposte diverse soluzioni per cercare di evitare che il sistema immunitario dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 si scateni contro le cellule β del paziente stesso, anche quelle differenziate a partire da iPSC.
Tra queste strategie, la più promettente risiede nella possibilità di cancellare il codice a barre sulla superficie delle cellule. Questo impedisce al sistema immunitario di distinguere tra componenti estranee al nostro corpo e parti dell’organismo stesso e quindi di distruggere i tessuti e le cellule create ex novo.
L’assenza del codice a barre è di per sé un segnale di allarme per il sistema immunitario che può innescare a sua volta la risposta di un altro gruppo di globuli bianchi, le cellule Natural Killer o NK, le quali, come descritto dal loro nome, una volta attivate sono in grado di eliminare tutto ciò che non esprime il codice a barre.
“Le cellule NK costituiscono un sistema di difesa molto antico e potente che l’essere umano ha sviluppato durante l’evoluzione e ha alcune funzioni importanti, come eliminare le cellule tumorali o alcuni agenti patogeni. Il nostro obiettivo è stato quello di riuscire a nascondere le cellule staminali non solo ai linfociti T, ma anche alle cellule NK, senza però inibire la loro normale funzione fisiologica”, afferma Piemonti.
Per rendere doppiamente invisibili le cellule staminali al sistema immunitario, i ricercatori hanno: da una parte inattivato MHC; dall’altra studiato i meccanismi di interazione con le cellule NK.
In particolare, i ricercatori hanno individuato, sulla superficie delle iPSC, 2 molecole chiave nell’attivazione delle cellule NK e, successivamente, hanno inibito la loro espressione attraverso farmaci biologici e CRISPR/Cas9, la tecnica di ingegneria genetica valsa il Nobel per la medicina nel 2020.
Le cellule producenti insulina derivate dalle iPSC modificate hanno così mostrato la stessa capacità di eludere il riconoscimento, sia da parte dei linfociti T, sia da parte delle cellule NK. Lo studio, condotto in vitro e in vivo su modelli sperimentali della malattia, ha portato a risultati molto promettenti che potrebbero avere ricadute anche in altri campi.
L’approccio proposto dai ricercatori del San Raffaele potrebbe costituire la base per la creazione di linee staminali ‘universali’, cioè utilizzabili senza problema di rigetto in tutti i pazienti e per qualsiasi tessuto.
Altre possibili applicazioni riguardano, invece, il campo oncologico e dei trapianti d’organo. “I tumori per sfuggire al sistema immunitario operano con meccanismi simili a quelli che abbiamo studiato per rendere le iPSC invisibili – afferma Piemonti -, e la loro comprensione potrebbe offrire nuove prospettive per attivare il sistema immunitario contro le cellule tumorali.
Nel campo dei trapianti, invece, stiamo cercando di sviluppare un nuovo modo di valutare la compatibilità tra donatore e ricevente che tenga conto non solo dei linfociti T, come è stato finora, ma anche cellule NK, che hanno un ruolo importante nell’aggressione verso tutto ciò che non è riconosciuto come proprio, in questo caso l’organo trapiantato”.