Una missione unica, dal nome molto promettente: Apollo 11. Si chiama così il progetto pilota presentato presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano che per i prossimi 3 anni ricalcherà le orme di quello internazionale che sta ottenendo risultati sorprendenti sulle strategie diagnostiche e di sopravvivenza per i pazienti con tumore al polmone. Si celebra così la Giornata della Ricerca Scientifica che, oltre al lancio di questa 1° rete di ospedali, vede presso l’Istituto dei Tumori anche l’importante riconoscimento ad Arsela Prelaj, la vincitrice per l’area della ricerca clinica e del bando che le sta permettendo di portare a termine questa missione. “Apollo 11 fu la missione spaziale che portò i primi uomini sulla Luna. Mi auguro che questo progetto molto ambizioso – precisa Marco VOTTA, Presidente dell’Istituto Nazionale dei Tumori –  possa ottenere grandi risultati e dare nuove speranze per aiutare a curare i pazienti con tumore al polmone che, lo ricordo, rimane un vero e proprio ‘big killer’. Il modo migliore per affrontarlo rimane quello di associare alla necessaria prevenzione terapie sempre più mirate e specifiche”. “Questo sistema permetterà di avere dati confrontabili e facilmente disponibili con i quali identificare e aggregare biomarcatori quali informazioni cliniche, radiologiche, genetiche, immunologiche, da associare sia alla storia naturale della malattia – precisa Arsela PRELAJ, Medico Oncologo all’Istituto Tumori di Milano e dottoranda in bioingegneria e intelligenza artificiale del Politecnico di Milano – sia alla risposta di una determinata terapia innovativa. Grazie allo sviluppo di questo database nazionale “real world” e all’utilizzo di questa biobanca miriamo a personalizzare le strategie terapeutiche per prolungare la sopravvivenza globale e preservare la qualità di vita dei pazienti con tumore al polmone”.

Attraverso la creazione di un’importante piattaforma, il progetto APOLLO 11 raccoglierà i dati di pazienti in cura in 48 centri del territorio nazionale con tumore al polmone avanzato già trattati o candidati a ricevere immunoterapia oppure terapie innovative come la terapia a bersaglio molecolare. 

“La fase successiva sarà quella di sviluppare un modello di intelligenza artificiale, capace di predisporre la risposta e quindi meglio personalizzare i trattamenti al fine di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti con cancro al polmone. Il valore aggiunto di questo progetto – interviene Filippo DE BRAUD, Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – è quello di integrare informazioni e campioni biologici tra centri italiani evitando la dispersione di dati provenienti da singole istituzioni. Con l’avvento delle terapie innovative c’è una crescente attenzione all’ identificazione di combinazioni di marcatori che predicono la risposta a diversi fattori quali la terapia, la ricaduta, la progressione, la tossicità e i meccanismi di resistenza”

La rete APOLLO 11 così costruita, fornirà gli strumenti per la standardizzazione dei dati clinici e biologici dei pazienti.“L’esclusività di questa unica rete nazionale per un tumore così invasivo nasce dal fatto che verranno raccolti sia i dati dei pazienti sia i campioni biologici che verranno stoccati in biobanche locali. La condivisione dei dati e campioni di ciascun centro – continua Giovanni APOLONE, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – sarà volontaria e contribuirà sicuramente alla ricerca scientifica di medio lungo periodo. Siamo di fronte a un traguardo mai raggiunto finora: la personalizzazione delle cure grazie alle nuove tecnologie dell’analisi dei big data come l’Intelligenza Artificiale e le sue branche di Machine e Deep Learning che possono leggere i dati insieme fornendo delle armi molto potenti”. L’associazione nazionale dei pazienti IPOP, sarà uno degli attori principali del progetto vedendosi coinvolti sin dal disegno del progetto. “La raccolta di campioni biologici, standardizzata tra i centri coinvolti e associata in modo preciso al momento clinico e terapeutico in cui è stato effettuata, è fondamentale per studiare e monitorare la malattia e l’effetto del farmaco. Solo in questo modo – aggiunge Monica GANZINELLI, biologa dell’Unità di Oncologia Medica Toracica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – si potranno applicare tecniche innovative, come il sequenziamento a singola cellula, e ottenere risultati solidi. 

Il tumore al polmone è la prima causa di mortalità legata al cancro in tutto il mondo. L’incidenza globale nel 2018 è stata stimata in 2 milioni di casi, destinato a crescere nei prossimi 20 anni. Sono due le famiglie di tumori polmonari: quello a piccole cellule, che rappresenta circa il 15-20% dei casi totali, e quello non a piccole cellule, che ne rappresenta circa l’80-85% e che viene spesso diagnosticato già in fase avanzata rendendolo non suscettibile di resezione chirurgica. L’associazione dei pazienti IPOP, sarà uno degli attori principali del progetto

Per diversi decenni, la chemioterapia è stata l’unico trattamento in grado di prolungare la sopravvivenza nei pazienti con tumore del polmone avanzato. Negli ultimi anni, i progressi della biologia molecolare hanno portato all’identificazione di specifiche alterazioni genetiche a carico di alcuni geni. Per i pazienti portatori di queste alterazioni si sono dimostrate molto efficaci le terapie a bersaglio molecolare, mirate ad eliminare selettivamente le cellule con queste caratteristiche. Ancora più recentemente, l’avvento dell’immunoterapia ha stravolto il trattamento dei tumori privi di alterazioni geniche. Questa terapia, che ha ricevuto il premio Nobel nel 2018, agisce risvegliando e mobilitando il sistema immunitario del paziente in modo che possa riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Ad oggi, i pazienti vengono selezionati a ricevere immunoterapia, da sola o combinata con la chemioterapia, in relazione al livello di espressione tumorale di PD-L1, al momento l’unico biomarcatore soddisfacente nel predire l’efficacia del trattamento immunoterapico. Tuttavia, anche se la probabilità che un paziente benefici dell’immunoterapia è più alta in caso di maggiore espressione di PD-L1, il ruolo di PD-L1 rimane poco chiaro come elemento predittivo di efficacia del trattamento e solo un piccolo, seppur importante, sottogruppo di pazienti ottiene un beneficio significativo e duraturo dal trattamento in monoterapia. Si rende quindi necessaria l’identificazione di biomarcatori e metodologie più efficaci, ed è proprio a questo bisogno urgente che la rete Apollo 11 intende rispondere.