Autismo: grazie a un avatar più vicino l’obiettivo di un farmaco
I ricercatori del Laboratorio High Definition Disease Modelling, Cellule Staminali e Epigenetica dell’Istituto Europeo di Oncologia hanno scoperto che una categoria di sostanze conosciute come antitumorali, gli inibitori delle istone deacetilasi, sono in grado di controbilanciare gli effetti delle alterazioni genetiche all’origine di una paradigmatica forma di autismo. I risultati della ricerca, appena pubblicati sulla rivista “Molecular Autism”, annunciano dunque per la prima volta la possibilità di sviluppare una cura farmacologica per questa condizione molto invalidante per i bambini colpiti e estremamente logorante per i loro caregivers.
L’ importanza della ricerca è legata anche alla tecnologia d’ avanguardia che ha reso possibile il risultato: un ampio screening su neuroni della corteccia cerebrale derivati dalle cellule staminali riprogrammate dai pazienti, e quindi contenenti la stessa alterazione genetica, i cosiddetti “Disease Avatar”.
“Le sindromi dello spettro dell’autismo colpiscono oltre l’1% dei bambini e rappresentano uno dei principali bisogni irrisolti della medicina perché ancora non è disponibile una cura efficace – dichiara Giuseppe Testa , Direttore del Laboratorio, Professore Ordinario all’Università degli Studi di Milano e Direttore del Centro di Neurogenomica dello Human Technopole – Il nostro studio ha aperto una delle prime vie concrete a un farmaco anti-autismo, scoprendo un tipo di sostanza capace di contrastare, nell’avatar di malattia, la sindrome 7Dup, che può essere considerata paradigmatica dello spettro autistico. Come per ogni ricerca, l’iter per il trasferimento alla clinica prevede ora sperimentazioni “in vivo” e in pre-clinica. Tuttavia in questo caso siamo avvantaggiati perché i potenziali farmaci che abbiamo identificato, gli inibitori delle istone deacetilasi, sono stati studiati in oncologia e quindi già ne conosciamo la tossicità, oltre ad altre caratteristiche e funzioni. E’ indubbio che svolgere questa ricerca nell’ambito di un centro oncologico come IEO ci è stato di grande aiuto. Fondamentale è stata tuttavia la partecipazione dei piccoli pazienti autistici e delle loro famiglie che hanno donato i loro fibroblasti alla ricerca, perché noi creassimo gli avatar di malattia”.
In laboratorio i fibroblasti dei pazienti sono stati riprogrammati per ricondurli ad uno stato di staminalità, che significa la capacità di evolversi in qualsiasi tipo di cellula. Quindi sono stati sviluppati in neuroni corticali, creando un avatar, vale a dire un modello che riproduce fedelmente le cellule umane da cui deriva perché ha lo stesso loro genoma e riproduce quindi potenzialmente le stesse alterazioni.
“Le sindromi dello spettro dell’autismo si manifestano con sintomi molto eterogenei e sono riconducibili a ben 400 alterazioni genetiche diverse – spiega Flavia Troglio, primo autore dello studio assieme a Francesca Cavallo – Abbiamo scelto di studiare la 7Dup come sindrome-paradigma perché ha espressioni comuni a molte altre e una casistica molto ampia. Sapevamo che questa sindrome origina dalla duplicazione di un segmento di 26-28 geni del cromosoma 7, e che alcuni di questi, tra cui il gene GTF2I, erano quelli più verosimilmente responsabili della sintomatologia autistica. Abbiamo quindi testato sugli avatar ben 1.500 sostanze, messe a disposizione dalla Drug Discovery IEO e note per avere un effetto epigenetico, cioè la capacità di modificare l’azione delle proteine che danno istruzioni al DNA. Abbiamo così trovato la combinazione vincente: il gene GTF2I, presente appunto in una copia in più, veniva frenato nella sua espressione dagli inibitori delle istone deacetilasi. Nei pazienti 7Dup quindi, in cui c’è un eccesso di attività di GTF2I, questa categoria di inibitori puo’ “spegnere” la sua azione, ripristinando la situazione di normalità. Nella clinica ci aspettiamo che i pazienti con 7Dup trattati con questi farmaci presentino una regressione dei sintomi dell’autismo.”
“La nostra esperienza – conclude Testa – accende i riflettori sull’importanza del “Drug Repositioning”, vale a dire il potenziale dei farmaci tradizionali di offrire alternative terapeutiche anche alle malattie ancora orfane di trattamento, quando sono utilizzati in modo innovativo. Il riposizionamento permette non solo di ottenere miglioramenti terapeutici, ma anche di ridurre il tempo di trasferimento alla clinica rispetto alle molecole sviluppate “de novo”. Per questo siamo fiduciosi che gli inibitori delle istone deacetilasi potranno diventare in meno di 10 anni una cura almeno per alcune significative forme di autismo”.