Malattia di Crohn e colite ulcerosa: i vaccini strumento essenziale per la prevenzione dei rischi infettivi
Il soggetto affetto da Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – MICI è riconducibile alla categoria del paziente fragile, cioè quell’insieme di individui con un sistema immunitario compromesso. Le MICI, note anche come IBD – Inflammatory Bowel Diseases, implicano dunque maggiori rischi di incorrere in complicanze infettive. I rischi infettivi possono essere di origine virale, batterica o fungina. Patologie senza particolari conseguenze per un paziente con un sistema immunitario efficiente, se contratte da un soggetto immunosoppresso, possono avere effetti anche molto gravi. La tubercolosi latente; l’Epatite A, B e C; l’herpes zoster; le polmoniti batteriche: sono solo alcuni esempi di malattie che possono avere conseguenze molto gravi in un paziente affetto da MICI.
Il convegno “IBD & Infections – Infezioni nelle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali. Meeting congiunto IG-IBD SIMIT”, a Milano venerdì 28 giugno presso l’Hotel dei Cavalieri, si sofferma proprio su queste tematiche e sviluppa quattro temi: tubercolosi, infezioni virali, sepsi, prevenzione tramite profilassi vaccinale. Un format interattivo che attraverso i contributi di specialisti gastroenterologi e infettivologi si propone di condividere il know-how di ciascuna specializzazione per favorire una sinergia tra le diverse branche della medicina per sensibilizzare anche pediatri e medici di medicina generale su questi argomenti.
Le strategie da attuare per scongiurare l’aumentato rischio a cui va incontro il paziente affetto da MICI a causa del suo elevato livello di immunosoppressione sono adeguati screening pretrattamento e vaccinazioni. “Gli screening permettono di evidenziare i soggetti predisposti ad alcune infezioni, ossia valutare gli anticorpi specifici del soggetto, per individuare, ad esempio, casi di tubercolosi latente o gli anticorpi per epatite o varicella – spiega Ambrogio Orlando, Responsabile di Unità Semplice Dipartimentale sulle MICI presso l’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello di Palermo. – Ma la strategia su cui puntiamo molto per questi pazienti è la pratica di tutte le vaccinazioni, obbligatorie e non”. Le vaccinazioni proposte nel paziente fragile, come quello affetto da MICI, sono molto diverse da quelle per l’infanzia. Oltre che alla protezione individuale, le vaccinazioni destinate al bambino sono necessarie per raggiungere l’immunità di gregge, ossia la copertura del 95% della popolazione, per ridurre la possibilità che un agente infettivo circoli e vada a colpire anche le persone non vaccinate. Nel caso delle vaccinazioni del paziente fragile, l’obiettivo principale è proteggere il singolo individuo immunocompromesso. “Oltre alla ovvia profilassi obbligatoria, la profilassi vaccinale annuale contro l’influenza o quella periodica contro lo pneumococco sono particolarmente suggerite, specialmente se siano in corso terapie immunosoppressive – spiega il Prof. Alessandro Armuzzi (nella foto), Segretario Nazionale IG-IBD. – Queste vaccinazioni sono molto importanti per la prevenzione che possono garantire”.
“Le vaccinazioni andrebbero eseguite al momento della diagnosi della malattia infiammatoria cronica intestinale – aggiunge il Dott. Ambrogio Orlando. – Due sono i motivi. Anzitutto, la vaccinazione eseguita in un soggetto che non ha ancora immunosoppressione ottiene il massimo risultato, ossia una protezione pari a quella della popolazione generale; in soggetti che stiano assumendo farmaci immunosoppressori o biologici, l’effetto della protezione si riduce del 30-40%. Il secondo motivo è che alcuni vaccini con virus attenuati o vivi non possono essere somministrati se il paziente sta assumendo farmaci immunosoppressori e/o biologici perché vi è il rischio di riattivazione del virus”.
Presentati proprio in occasione del convegno milanese i risultati di una survey italiana condotta nel 2018 dalla Società scientifica IG-IBD, di cui il Dott. Ambrogio Orlando è coordinatore del Comitato educazionale. Il sondaggio si è rivolto a gastroenterologi e pediatri che lavorano sulle MICI, perlopiù con esperienza maggiore di 15 anni. Il 41% dei gastroenterologi segue più di 500 pazienti affetti da questa malattia; tra i pediatri, il 19% segue più di 200 bambini affetti da MICI. Su 455 intervistati, hanno risposto in 198.
“Dalla survey è emerso che è ancora troppo bassa la sensibilità dei medici che si occupano di queste patologie ad eseguire le vaccinazioni” evidenzia Orlando. “Alcuni aspetti della consapevolezza da parte dei medici sono positivi: l’83% ritiene che sia molto importante seguire le vaccinazioni raccomandate dalle Linee Guida nell’ambito delle infezioni delle MICI; l’88% afferma che i vaccini non causano la riacutizzazione della malattia. Tuttavia, restano molti punti su cui è necessario ottenere miglioramenti. Non tutti, ad esempio, le eseguono al momento della diagnosi, passaggio cruciale, ma solo il 66%: una maggioranza non schiacciante che desta apprensione. Alla domanda ‘a quali pazienti raccomanderesti la vaccinazione per l’influenza’, solo il 60% dice a tutti, mentre il 24% si limita a indicare chi soffre di comorbidità e il 15% solo gli ultra65enni. Il vaccino per lo pneumococco dovrebbe essere somministrato a tutti, ma ciò è sostenuto solo dal 30% degli intervistati. Il 67% non raccomanda mai il vaccino per l’epatite A. Solo il 25% raccomanda sempre e a tutti il vaccino antimeningococco”.
La survey dà risultati intermedi: la sensibilità all’uso dei vaccini nei pazienti affetti da MICI è inferiore alle attese. Il sondaggio riflette una buona conoscenza scientifica del problema, che però nella pratica clinica non si traduce in una attuazione della somministrazione dei vaccini. Pur non essendo scarsa, resta una parziale consapevolezza del rischio delle infezioni nei pazienti affetti da MICI e della necessità dei vaccini. Tuttavia, survey simili eseguite in Canada, Australia, Stati Uniti hanno dato risultato simili: il problema dunque è globale.
Uno dei casi al centro dell’attenzione del convegno milanese è anche quello dell’evoluzione delle infezioni in sepsi, una condizione che genera un incremento esponenziale dei rischi per la vita dei pazienti. Con il termine di sepsi s’intende infatti la risposta sistemica a uno stimolo infettivo variamente localizzato, in grado di autoalimentarsi e prendere il sopravvento se non viene opportunamente e tempestivamente spento l’interruttore infettivo. Tale condizione di grave pericolo, caratterizzata da una sindrome in cui il paziente può rapidamente passare dalla sepsi allo shock settico trattabile e da qui allo shock settico refrattario, necessita di essere prontamente riconosciuta e trattata. A questo proposito la comunità scientifica internazionale si è dotata di veri propri pacchetti di intervento che riuniscono e coordinano le misure di diagnosi, supporto dei parametri vitali e di terapia antibiotica secondo uno schema temporale ben preciso. La sepsi/shock settico è infatti una condizione tempo-dipendente che deve far scattare gli interventi secondo una successione precisa che richiede da parte di tutti i sanitari coinvolti conoscenze approfondite e grande capacità di lavorare in team.
“Nel caso delle sepsi che possono insorgere nell’ambito delle MICI – sottolinea Marcello Tavio, Vice Presidente SIMIT – il gastroenterologo, l’intensivista e l’infettivologo devono rapidamente coordinarsi per riconoscere la condizione, dare supporto all’organismo a seconda del livello di compromissione raggiunto, avviare le indagini diagnostiche preliminari indispensabili, iniziare il trattamento anti-infettivo e procedere al ‘source control’, ovvero la rimozione della causa scatenante”.
La speranza è che convegni come questo contribuiscano ad aumentare la sensibilità di tutti gli interlocutori verso la tematica in modo da arrivare a meglio definire gli aspetti peculiari in queste specifiche patologie, che hanno sempre maggiori probabilità di essere trattate con successo, anche quando espongono a un maggior rischio di contrarre complicazioni infettive di vario genere.