Creato un modello personalizzato al computer per analizzare i profili individuali di dislessia
La dislessia si manifesta nei primi anni di scuola come difficoltà nell’imparare a leggere in modo corretto e fluente, con un’incidenza nei paesi industrializzati che varia tra il 5 ed il 15% della popolazione. C’è ampio consenso sul fatto che la dislessia dipenda da una disfunzione delle reti neuronali coinvolte nei processi di lettura, ma non su quale sia la natura del deficit. Una ricerca internazionalepubblicata su «Psychological Science», che ha tra gli autori Marco Zorzi del Dipartimento di Psicologia Generale e Padova Neuroscience Center dell’Università di Padova, ha utilizzato simulazioni al computer su larga scala per studiare come diversi tipi di deficit concorrano nel determinare le abilità di lettura individuali in un campione di oltre 600 bambini americani, di cui quasi 400 con diagnosi di dislessia in base a test standardizzati di lettura. I dati provenivano da uno degli studi su più larga scala effettuati sulla dislessia, svolto su bambini tra gli 8 e i 13 anni al Centro di Ricerca per i Disturbi dell’Apprendimento della University of Colorado Boulder. I ricercatori hanno simulato al computer l’apprendimento della lettura utilizzando una rete neurale artificiale, un modello computazionale composto di “neuroni” artificiali organizzati in strati che interagiscono tra loro. Parte delle simulazioni hanno richiesto l’utilizzo di un supercomputer della Swinburne University of Technology, solitamente utilizzato per ricerche di astrofisica. «L’apprendimento nel nostro modello è molto diverso da quello delle tipiche reti neurali artificiali utilizzate nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale. Replica le strategie di apprendimento utilizzate da tutti i bambini che imparano a leggere e si basa in gran parte su un ciclo di auto-apprendimento» dice Marco Zorzi autore della ricerca. La rete neurale inizialmente acquisisce abilità rudimentali nella decodifica delle parole scritte, imparando le associazioni più frequenti tra lettere e suoni. Successivamente, ad ogni tentativo di decodifica, la rete genera una parola in forma orale e cerca la migliore corrispondenza con quelle che ha in memoria, che rappresentano il lessico parlato del bambino. In caso di corrispondenza viene creata una memoria visiva della parola scritta, che servirà nel futuro a riconoscerla in modo più rapido ed efficiente, e contemporaneamente vengono rinforzate le associazioni tra le lettere ed i suoni che formano la parola stessa. «E’ un processo di auto-apprendimento probabilistico: la rete all’inizio fa molti errori – sottolinea Marco Zorzi – come un bambino che sta imparando a leggere, e anche una decodifica corretta non sempre porta alla creazione di una memoria visiva della parola. Ma simula molto bene l’apprendimento umano». Per ogni bambino, dislessico o normolettore, è stato creato un modello personalizzato basato su misure individuali delle abilità fonologiche, visive-ortografiche, e del lessico parlato.Questi tre fattori definivano le condizioni iniziali su cui si innestava l’apprendimento, determinando quindi le abilità di lettura del modello personalizzato. Gli autori hanno scoperto che questo modello multifattoriale simula accuratamente le differenze individuali tra le abilità di lettura dei bambini e rende conto della variabilità nei profili di dislessia. Questi risultati non emergono invece in simulazioni di controllo basate su modelli che enfatizzano un singolo fattore e che rappresentano le principali teorie sulle cause della dislessia. Il modello suggerisce anche che l’efficacia di tipi diversi di potenziamento delle abilità di lettura variano in funzione del profilo individuale del bambino dislessico. Questi risultati dimostrano la necessità di un modello multifattoriale della dislessia e aprono la strada allo sviluppo di modelli personalizzati al computer per guidare la progettazione di interventi di potenziamento della lettura e di riabilitazione della dislessia.