L’ambliopia, detta anche occhio pigro, è un disturbo diffuso, causato da uno sbilanciamento in età giovanile dell’attività dei due occhi, indotto da varie cause: forti differenze nel potere rifrattivo dei due occhi, opacizzazioni della cornea, strabismo, cataratta congenita. La patologia determina una marcata riduzione delle capacità visive, in particolare dell’acuità visiva e della stereopsi. Nel bambino è trattabile prima degli otto-nove anni di età, ma nell’adulto non è curabile a causa della riduzione dei livelli di plasticità cerebrale del cervello maturo. 

Gli esperimenti condotti da Claudia Lunghi in collaborazione con Antonio Lepri dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana e coordinati da Alessandro Sale dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche e da Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa hanno dimostrato che è invece possibile ottenere un marcato miglioramento delle funzioni visive anche in adulti affetti da ambliopia. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista “Annals of Clinical and Translational Neurology”.

“Gli studi che ho condotto su modelli animali hanno mostrato che l’attività fisica potenzia la plasticità cerebrale, ossia la capacità dei circuiti del cervello di cambiare struttura e funzione in risposta agli stimoli ambientali”, spiega Sale. “D’altro canto, gli studi effettuati dal mio gruppo su soggetti umani hanno evidenziato una plasticità visiva che si mantiene anche negli individui adulti e che agisce su tempi brevi: la chiusura temporanea di uno dei due occhi porta al miglioramento della percezione visiva in quell’occhio”, aggiunge Morrone. “Anche questo tipo di plasticità visiva, definita omeostatica, si potenzia in risposta all’attività fisica volontaria nelle persone sane”.

Nel nuovo studio è emerso che potenziando nell’adulto questa plasticità omeostatica con l’attività fisica si migliora in modo permanente la visione dell’occhio pigro. “Un gruppo di dieci persone ambliopi ha trascorso, per tre giorni consecutivi, un breve periodo di deprivazione della visione dell’occhio ambliope stando seduti di fronte a un televisore, guardando un film e alternando, durante la visione, dieci minuti di pedalata alla cyclette con dieci minuti di riposo, per tre ore complessive”, raccontano i due studiosi. “La stessa procedura è stata ripetuta per altre tre settimane, riducendo il numero di giorni di trattamento per settimana da tre a uno.  Ai soggetti di controllo è stata invece somministrata la deprivazione senza l’uso simultaneo della cyclette, quindi senza attività fisica”. 

I risultati sono stati subito evidenti. “Quanti svolgevano attività motoria hanno mostrato un marcato recupero dell’acuità visiva e della stereopsi, effetto che si è mantenuto nel tempo ed è risultato presente anche dodici mesi dopo la fine del trattamento. I soggetti di controllo, invece, hanno evidenziato solo livelli di recupero trascurabili”, continuano i due ricercatori. 

Lo studio rappresenta la prima dimostrazione della possibilità di utilizzare i benefici dell’attività fisica per favorire il recupero delle funzioni visive in soggetti ambliopi, ma contiene anche un’altra novità. “La ricerca dimostra l’efficacia della chiusura dell’occhio ambliope quale strategia per favorirne il recupero”, conclude Sale. “Il paradigma più usato, in questo campo, prevede lunghi periodi di occlusione dell’occhio sano, per contrastarne la predominanza e favorire l’uso dell’occhio pigro. Il lavoro pubblicato mostra invece che la chiusura dell’occhio ambliope, se avviene in condizioni che favoriscono la plasticità omeostatica, offre scenari di trattamento insperati e ancora tutti da esplorare, anche se è effettuata per periodi di tempo molto brevi”.