La sclerodermia è una malattia autoimmune invalidante, difficile da diagnosticare e orfana di una cura efficace. Uno studio pubblicato su “Science Translational Medicine” identifica per la prima volta il ruolo chiave di una singola molecola nel coordinare l’aggressione del sistema immunitario verso i tessuti dell’organismo. La molecola, chiamata HMGB1, viene rilasciata nel sangue dalle piastrine, modifica il metabolismo e la funzione di alcune cellule del sistema immunitario, portando al danno cronico dei piccoli vasi e alla fibrosi. Questo meccanismo potrebbe diventare – se studi futuri lo confermeranno – il primo target terapeutico per combattere la malattia. A firmare la scoperta è un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture d’eccellenza del Gruppo San Donato – e dell’Università Vita-Salute San Raffaele, guidati da Angelo Manfredi, a capo dell’unità di Autoimmunità e infiammazione vascolare. La ricerca è stata possibile grazie al sostegno dell’Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia.
Chiamata anche sclerosi sistemica, la sclerodermia è caratterizzata dall’infiammazione e dall’occlusione dei piccoli vasi sanguigni e dal progressivo ispessimento della pelle e dei tessuti connettivi interni. A seconda degli organi che colpisce, questo ispessimento – chiamato fibrosi – può dare origine a complicanze anche gravi, come nel caso dei polmoni. A causare la fibrosi è la continua aggressione dei tessuti da parte del sistema immunitario e la loro successiva cicatrizzazione, che diventa cronica e disfunzionale. Fino a oggi il meccanismo che innesca e che mantiene l’attivazione del sistema immunitario è rimasto poco compreso, cosa che non ha aiutato lo sviluppo di terapie efficaci.
Il lavoro appena pubblicato potrebbe cambiare le cose. Il gruppo di ricercatori è riuscito infatti a identificare il ruolo di una singola molecola nell’avviare alcuni dei meccanismi chiave della patologia. Gli scienziati hanno scoperto che nei pazienti con sclerodermia, il sangue è ricco di micro-particelle che esprimono sulla superficie una proteina chiamata HMGB1. Queste micro-particelle vengono espulse e messe in circolo dalle piastrine, che infatti risultano contenere al loro interno meno HMGB1 rispetto alle persone sane. “Come abbiamo dimostrato sia in vitro che in un modello animale della malattia, è sufficiente la presenza delle micro-particelle che esprimono questa proteina, raccolte da campioni di sangue dei pazienti, per attivare il sistema immunitario, in particolare i neutrofili, in modo patologico”, spiega Norma Maugeri, prima firma del lavoro. I neutrofili iniziano a rilasciare al loro esterno il contenuto del nucleo – DNA compreso – con effetti infiammatori sui tessuti circostanti, che ne risultano danneggiati. Non solo, ma i neutrofili attivati da HMGB1 diventano anche ‘immortali’, nel senso che rifiutano i segnali di soppressione che normalmente si attivano a fronte di comportamenti anomali.
Parallelamente al danneggiamento dei tessuti, HMGB1 ne promuove la rigenerazione, che se non propriamente controllata può dare origine al fenomeno di fibrosi. Il duplice ruolo – infiammatorio e rigenerativo – di questa proteina era del resto già noto, grazie al lavoro pionieristico di un altro gruppo di ricerca del San Raffaele, quello guidato da Marco Emilio Bianchi, tra i coautori dello studio appena pubblicato.
“Future ricerche dovranno confermare ed espandere questi risultati, ma abbiamo ragione di ipotizzare che la presenza fuori dalle cellule di quantità eccessive di HMGB1 possa essere la prima responsabile del danneggiamento dei vasi e della fibrosi dei tessuti connettivi, e quindi dell’innesco della malattia”, afferma Angelo Manfredi. Se ciò è vero, questa molecola potrebbe diventare in futuro un target terapeutico per la sclerodermia: interferendo con il suo rilascio in circolo da parte delle piastrine o rimuovendola dal sangue dei pazienti, potremo forse sperare di interferire con l’evoluzione della malattia.