Mentre i consumi arrancano, la spesa sanitaria privata decolla. La spesa sanitaria privata degli italiani arriverà a fine anno al valore record di 40 miliardi di euro. Nel periodo 2013-2017 è aumentata del 9,6% in termini reali, molto più dei consumi complessivi. Nell’ultimo anno sono stati 44 milioni gli italiani che hanno speso soldi di tasca propria per pagare prestazioni sanitarie per intero o in parte con il ticket. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute presentato oggi al «Welfare Day 2018».
La spesa sanitaria privata pesa di più sui budget delle famiglie più deboli. Nel periodo 2014-2016 i consumi delle famiglie operaie sono rimasti fermi, ma le spese sanitarie private sono aumentate del 6,4%. Per gli imprenditori c’è stato invece un forte incremento dei consumi  e una crescita inferiore della spesa sanitaria privata. Per gli operai l’intera tredicesima se ne va per pagare cure sanitarie familiari: quasi 1.100 euro all’anno. Per 7 famiglie a basso reddito su 10 la spesa privata per la salute incide pesantemente sulle risorse familiari.
Nell’ultimo anno, per pagare le spese per la salute 7 milioni di italiani si sono indebitati e 2,8 milioni hanno dovuto usare il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi. Solo il 41% degli italiani copre le spese sanitarie esclusivamente con il proprio reddito: il 23,3% deve integrarlo attingendo ai risparmi, mentre il 35,6% deve usare i risparmi o fare debiti. Il 47% degli italiani taglia le altre spese per pagarsi la sanità. In sintesi: meno guadagni, più devi trovare soldi aggiuntivi al reddito per pagare la sanità di cui hai bisogno.
«Sono 150 milioni le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria dagli italiani. Nella top five delle cure, 7 cittadini su 10 hanno acquistato farmaci, 6 cittadini su 10 visite specialistiche, 4 su 10 prestazioni odontoiatriche, 5 su 10 prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio e 1 su 10 protesi e presidi, con un esborso medio di 655 euro per cittadino», ha detto Marco Vecchietti, Amministratore Delegato di Rbm Assicurazione Salute. «La salute è da sempre uno dei beni di maggiore importanza per tutti i cittadini, ma in questi anni non è mai stata al centro dell’agenda politica. La spesa sanitaria di tasca propria è la più grande forma di disuguaglianza in sanità, perché colpisce in particolar modo i redditi più bassi, le Regioni con situazioni economiche più critiche, i cittadini più fragili e gli anziani. Questa situazione può essere contrastata solo restituendo una dimensione sociale alla spesa sanitaria privata attraverso una intermediazione strutturata da parte del settore assicurativo e dei fondi sanitari integrativi. Bisogna superare posizioni di retroguardia e attivare subito, come già avvenuto in tutti gli altri grandi Paesi europei, un secondo pilastro anche in sanità che renda disponibile su base universale – quindi a tutti i cittadini – le soluzioni che attualmente molte aziende riservano ai propri dipendenti. In questo modo si potrebbe dimezzare il costo delle cure che oggi schiaccia i redditi familiari, con un risparmio per ciascun cittadino di circa 340 euro all’anno. I soldi per farlo già ci sono, basterebbe recuperarli dalle detrazioni sanitarie che favoriscono solo i redditi più elevati e promuovono il consumismo sanitario. Ci dichiariamo sin d’ora disponibili ad illustrare al nuovo governo la nostra proposta, che può assicurare oltre 20 miliardi di risorse da investire sulla salute di tutti», ha concluso Vecchietti.
Il 68% degli occupati ha dovuto assentarsi dal lavoro per recarsi presso strutture sanitarie pubbliche per se stessi o per i propri familiari, perché erano chiuse in orari non lavorativi. Intanto non mancano i furbi: 12 milioni di italiani hanno saltato le lunghe liste d’attesa nel Servizio sanitario grazie a conoscenze e raccomandazioni. Ormai il 54,7% degli italiani è convinto che non si hanno più opportunità di diagnosi e cura uguali per tutti. Sono questi i contorni di una sanità che chiede un surplus di sacrifici alle persone con redditi bassi e ai lavoratori, e premia i furbi: ecco l’origine del rancore per la sanità.
«Ognuno si curi a casa propria». È questa una delle reazioni alla sanità percepita come ingiusta, il sintomo del rancore di chi vuole escludere e punire gli altri per non vedersi sottrarre risorse pubbliche per sé e i propri familiari. Sono 13 milioni gli italiani che dicono stop alla mobilità sanitaria fuori regione. E in 21 milioni ritengono giusto penalizzare con tasse aggiuntive o limitazioni nell’accesso alle cure del Servizio sanitario le persone che compromettono la propria salute a causa di stili di vita nocivi, come i fumatori, gli alcolisti, i tossicodipendenti e gli obesi.
Il 37,8% degli italiani prova rabbia verso il Servizio sanitario a causa delle liste d’attese troppo lunghe o i casi di malasanità. Il 26,8% è critico perché, oltre alle tasse, bisogna pagare di tasca propria troppe prestazioni e perché le strutture non sempre funzionano come dovrebbero. Il 17,3% prova invece un senso di protezione e di fronte al rischio di ammalarsi pensa: «meno male che il Servizio sanitario esiste». L’11,3% prova un sentimento di orgoglio, perché la sanità italiana è tra le migliori al mondo. I più arrabbiati verso il Servizio sanitario sono le persone con redditi bassi e i residenti al Sud. Ma per un miglioramento della sanità il 63% degli italiani non si attende nulla dalla politica. Per il 47% i politici hanno fatto troppe promesse e lanciato poche idee valide, per il 24,5% non hanno più le competenze e le capacità di un tempo.